Forget-Racconto breve

“Forget”

Dopo il fattaccio, decisi di murarmi vivo in casa. Prima di abbandonarmi, Giulia aveva poggiato la sua mano ferma sulla mia spalla destra. Se ne avessi avuto realmente bisogno, aveva detto, avrei potuto chiamarla. Replicai dicendole che il suo nuovo fidanzato aveva la faccia di un uovo. Chiuse con forza la porta d’ingresso e mi lasciò fustigare dal silenzio. Per un po’ arginai pazientemente il fiume di disperazione che mi squarciava il petto ma, quando mi resi conto di aver interrogato due miei studenti, sugli “alcheni e la stereoisomeria” – argomenti mai trattati in classe – mi presi sette giorni di congedo per malattia e una valanga di insulti da alcuni allievi sulla rampa delle scale, all’uscita di scuola. Anche il preside me lo consigliò: “Stacchi un po’ la spina, Di Presso, ha l’aria abbattuta e nervosa”. Quando ritirai la mano dopo avergliela stretta, colpii distrattamente il portapenne, scaraventandolo sulla scrivania. Mi piegai, recuperai tre penne e un temperamatite sbattendo la testa sul tavolino. Lasciai a terra la gomma. “Vada, Di Presso, la prego, faccio io” disse il signor preside.

Dopo una puntatina al supermarket, il giorno dopo, tornai a casa con sei buste della spesa. Sistemai tutto, me compreso, nel ripostiglio in soffitta. Collegai il monitor da sessanta pollici al computer portatile e lo misi sulla scrivania. Passai sette giorni interi senza mai uscire dalla soffitta. Al settimo giorno di clausura, venerdì verso le 16.00, qualcuno suonò il campanello. Non aspettavo nessuno. Scesi le scale a chiocciola ma, arrivato in soggiorno, una visione inaspettata mi ghiacciò di colpo. Un vecchio apparentemente senza vita, con dei segni in faccia, giaceva sdraiato sul divano. Non mi andava più di aprire la porta. Stetti più di due minuti senza far rumore, il tempo di dare all’ignoto visitatore la certezza di aver bussato invano, poi guardai il vecchio da vicino. Aveva una svastica rozzamente tratteggiata sulla calvizie, sopracciglia da Topolino e baffi dipinti pure peggio. Lo ribattezzai Adolf Disney. Respirava ancora. Gli sfilai il cellulare dal taschino della giacca e pigiai sulle chiamate effettuate. Sul display venne fuori il numero di un tal Massimo Trovatelli. Lo chiamai:

“Seee”

“Salve, mi chiamo Luigi Di Presso. So che sembra assurdo ma sembra che un suo amico si stia sentendo male sul mio divano. Me lo sono trovato in casa.

“Ma come? Se l’è trovato in casa? Ha ha, signor De Fesso non mi faccia ridere!”

“Mi chiamo Di Presso”

“Eh vabbè Di Presso o De Fesso, non cambia nulla. Io non la conosco e chissà che non l’abbia drogato lei”.

“Ma lei è folle o cosa? Venga subito a prendersi il suo amico! Ho paura possa sentirsi male, è pallido!  Ma poi, che porcheria?!  Ha il volto completamente imbrattato!”.

“Beh? E’ quasi Carnevale, no? Ha ha”.

“Spiritoso!”.

“Lo spirito è tutto, De Fesso, è tutto! Il mio amico viaggia altrove, come i guerrieri. Non nuoce a nessuno. Solo i bigotti come lei possono credere che stia male“.

“Venga immediatamente a riprendersi il suo amico!”.

“Non verrò. Tanto lo so perché mi ha chiamato. Dovrebbe essercene ancora in cantina. Si prenda quanto è rimasto e vada a quel paese!”.

Riattaccò ma ormai avevo capito da dove era entrato il bastardo. Piombai in cantina con la paletta del camino. La finestra era spalancata. C’erano bottiglie di vetro e di alcolici sparsi caoticamente sul pavimento, cinque sedie prese dalla cucina, e il tavolino della stanza di Giulia al centro. Un fascicoletto di fogli A4 sul tavolino, attirò immediatamente la mia attenzione. Sul frontespizio lessi: “Forget, l’anima del guerriero in viaggio, al di là del bene e del male”. Cominciai a sfogliarlo. Parlava di un miscuglio a base di alcool, ansiolitici e altre sostanze sintetizzate. Il resto del trattato, sembrava roba new age sui viaggi astrali e sulle connessioni neuronali. Ma ciò che mi colpii più di tutto, furono le parole che trovai sulla pagina finale: “Chi contempla si consuma, il guerriero invece, divorando il dolore, vince se stesso e ottiene ciò che vuole. Firmato Dottor Massimo Trovatelli”.

Non ebbi tempo di approfondire il resto delle scartoffie a causa di un tonfo proveniente  dal soffitto. Presi la paletta e salii velocemente le scale. Qualcuno era entrato in casa. Rimasi nascosto in attesa che si manifestasse. Mi lanciai nel vuoto colpendo a caso la figura. Quando accesi la luce premendo sull’interruttore, vidi un ufficiale di polizia riverso sul pavimento. Non era solo, altri due carabinieri coi distintivi si dirigevano verso di me. La tensione nervosa mi accasciò al suolo. Svenni.

Mi risvegliai sul letto del pronto soccorso, con i due ufficiali posti ai lati:

“Signor  Depresso, si sente meglio?” disse quello a destra

“Di Presso” risposi.

Mi consegnò un giornale.

“Ci spiace per l’irruzione ma bisognava coglierli sul fatto. Da qualche giorno gli intercettavamo le telefonate. Senza saperlo, lei  lo ha fatto parlare” Disse quello a sinistra

“Credevano, come noi tra l’altro, che la casa fosse incustodita. Legga un po’ che roba! Ma poi, lei, Di Presso, dov’era? In vacanza per caso?” ribadì.

Lessi le prime righe dell’articolo:

Forget, la droga che elimina il passato. Nuova pista sulla misteriosa setta guidata da cinque medici pensionati. Occupate abusivamente tre case abbandonate, basi per i loro rituali.

Posai il giornale sul comodino e chiusi gli occhi. Forget. Non era male questa idea di correggere il passato. Chissà se era rimasto qualcosa in cantina.

“Come ha detto?” disse l’ufficiale

Ma già dormivo, finalmente.

di Francesco De Simone